프란치스코 교황 성하, 한반도의 북한핵무기 실험 계속과
각국의 세계 도처 무기 거래에 경종을,,,
-2017년 1월 9일, 프란치스코 교황 성하께서 새 해 교황청의 180여명에 달하는
전 세계 각국에서 활약하고 있는 외교 사절단과의 신년 만남에서,
비핵화를 위한 교황청의 노력을 알리시며,,,.-
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Pope Francis Activities
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DEGLI AUGURI DEL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE
IN OCCASIONE DEGLI AUGURI DEL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE
Sala Regia
Lunedì, 9 gennaio 2017
Lunedì, 9 gennaio 2017
Eccellenze, cari Ambasciatori, Signore e Signori,
Vi do il benvenuto e Vi ringrazio per la Vostra presenza così numerosa e attenta a questo tradizionale appuntamento che permette di scambiarci vicendevolmente l’augurio che l’anno da poco iniziato sia per tutti un tempo di gioia, di prosperità e di pace. Un particolare sentimento di riconoscenza rivolgo al Decano del Corpo Diplomatico, Sua Eccellenza il Signor Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, Ambasciatore di Angola, per le deferenti parole di saluto che ha rivolto a nome dell’intero Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il quale si è recentemente allargato in seguito all’allacciamento dei rapporti diplomatici con la Repubblica Islamica di Mauritania, avvenuto un mese fa. Desidero parimenti esprimere gratitudine ai molti Ambasciatori residenti nell’Urbe, il cui numero si è accresciuto nel corso dell’ultimo anno, come pure agli Ambasciatori non residenti, che con la loro presenza odierna intendono sottolineare i vincoli di amicizia che uniscono i loro popoli alla Santa Sede. In pari tempo, mi è caro rivolgere una particolare espressione di cordoglio all’Ambasciatore della Malesia, ricordando il suo predecessore, Dato’ Mohd Zulkephli Bin Mohd Noor, deceduto nel febbraio scorso.
Nel corso dell’anno passato, i rapporti fra i Vostri Paesi e la Santa Sede hanno avuto occasione di approfondirsi ulteriormente grazie alle gradite visite di numerosi Capi di Stato e di Governo, anche in concomitanza con i vari appuntamenti che hanno costellato il Giubileo straordinario della Misericordia, da poco conclusosi. Diversi sono stati pure gli Accordi bilaterali firmati o ratificati, sia di carattere generale, volti a riconoscere lo statuto giuridico della Chiesa, con la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centroafricana, il Benin e con Timor-Leste, sia di carattere più specifico come l’Avenant siglato con la Francia, o la Convenzione in materia fiscale con la Repubblica Italiana, recentemente entrata in vigore, ai quali si aggiunge il Memorandum d’Intesa tra la Segreteria di Stato e il Governo degli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, nella prospettiva dell’impegno della Santa Sede a tener fede alle obbligazioni assunte dagli accordi sottoscritti, è stata data anche piena attuazione al Comprehensive Agreement con lo Stato di Palestina, entrato in vigore un anno fa.
Cari Ambasciatori,
un secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto mondiale. Una inutile strage[1], in cui nuove tecniche di combattimento disseminavano morte e causavano immani sofferenze alla popolazione civile inerme. Nel 1917, il volto del conflitto cambiò profondamente, acquisendo una fisionomia sempre più mondiale mentre si affacciavano all’orizzonte quei regimi totalitari che per lungo tempo sarebbero stati causa di laceranti divisioni. Cent’anni dopo, tante parti del mondo possono dire di aver beneficiato di periodi prolungati di pace, che hanno favorito opportunità di sviluppo economico e forme di benessere senza precedenti. Se per molti oggi la pace sembra, in qualche modo, un bene scontato, quasi un diritto acquisito a cui non si presta più molta attenzione, per troppi essa è ancora soltanto un lontano miraggio. Milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti insensati. Anche in luoghi un tempo considerati sicuri, si avverte un senso generale di paura. Siamo frequentemente sopraffatti da immagini di morte, dal dolore di innocenti che implorano aiuto e consolazione, dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della violenza, dal dramma dei profughi che sfuggono alla guerra o dei migranti che periscono tragicamente.
Vorrei perciò dedicare l’incontro odierno al tema della sicurezza e della pace, poiché nel clima di generale apprensione per il presente e d’incertezza e di angoscia per l’avvenire, nel quale ci troviamo immersi, ritengo importante rivolgere una parola di speranza, che indichi anche una prospettiva di cammino.
Proprio alcuni giorni fa abbiamo celebrato la 50a Giornata Mondiale della Pace, istituita dal mio beato Predecessore Paolo VI «come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire»[2]. Per i cristiani, la pace è un dono del Signore, acclamata e cantata dagli angeli al momento della nascita di Cristo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Essa è un bene positivo, «il frutto dell’ordine impresso nella società umana»[3] da Dio e «non la semplice assenza della guerra»[4]. Non può «ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse»[5], piuttosto esige l’impegno di quelle persone di buona volontà che «aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta»[6].
In tale prospettiva esprimo il vivo convincimento che ogni espressione religiosa sia chiamata a promuovere la pace. L’ho potuto sperimentare in modo significativo nel corso della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, tenutasi ad Assisi nel settembre scorso, durante la quale i rappresentanti delle diverse religioni si sono trovati per «dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto»[7], come pure nel corso della mia visita al Tempio Maggiore di Roma o alla Moschea di Baku.
Sappiamo come non siano mancate violenze religiosamente motivate, a partire proprio dall’Europa, dove le storiche divisioni fra i cristiani sono durate troppo a lungo. Nel mio recente viaggio in Svezia ho inteso richiamare l’urgente bisogno di sanare le ferite del passato e camminare insieme verso mete comuni. Alla base di tale cammino non può che esservi il dialogo autentico fra le diverse confessioni religiose. È un dialogo possibile e necessario, come ho cercato di testimoniare nell’incontro avvenuto a Cuba con il Patriarca Cirillo di Mosca, come pure nel corso dei viaggi apostolici in Armenia, Georgia e Azerbaigian, dove ho percepito la giusta aspirazione di quelle popolazioni a ricomporre i conflitti che da anni pregiudicano la concordia e la pace.
In pari tempo, è opportuno non dimenticare le molteplici opere, religiosamente ispirate, che concorrono, talvolta anche con il sacrificio dei martiri, all’edificazione del bene comune, attraverso l’educazione e l’assistenza, soprattutto nelle regioni più disagiate e nei teatri di conflitto. Tali opere contribuiscono alla pace e danno testimonianza di come si possa concretamente vivere e lavorare insieme, pur appartenendo a popoli, culture e tradizioni differenti, ogniqualvolta si colloca al centro delle proprie attività la dignità della persona umana.
Purtroppo, siamo consapevoli di come ancor oggi, l’esperienza religiosa, anziché aprire agli altri, possa talvolta essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze. Mi riferisco particolarmente al terrorismo di matrice fondamentalista, che ha mietuto anche lo scorso anno numerose vittime in tutto il mondo: in Afghanistan, Bangladesh, Belgio, Burkina Faso, Egitto, Francia, Germania, Giordania, Iraq, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Tunisia e Turchia. Sono gesti vili, che usano i bambini per uccidere, come in Nigeria; prendono di mira chi prega, come nella Cattedrale copta del Cairo, chi viaggia o lavora, come a Bruxelles, chi passeggia per le vie della città, come a Nizza e a Berlino, o semplicemente chi festeggia l’arrivo del nuovo anno, come a Istanbul.
Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale. Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici. Ai primi spetta il compito di trasmettere quei valori religiosi che non ammettono contrapposizione fra il timore di Dio e l’amore per il prossimo. Ai secondi spetta garantire nello spazio pubblico il diritto alla libertà religiosa, riconoscendo il contributo positivo e costruttivo che essa esercita nell’edificazione della società civile, dove non possono essere percepite come contraddittorie l’appartenenza sociale, sancita dal principio di cittadinanza, e la dimensione spirituale della vita. A chi governa compete, inoltre, la responsabilità di evitare che si formino quelle condizioni che divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi. Ciò richiede adeguate politiche sociali volte a combattere la povertà, che non possono prescindere da una sincera valorizzazione della famiglia, come luogo privilegiato della maturazione umana, e da cospicui investimenti in ambito educativo e culturale.
Al riguardo, accolgo con interesse l’iniziativa del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale, che lo scorso anno ha messo a tema il ruolo dell’educazione nella prevenzione della radicalizzazione che conduce al terrorismo e all’estremismo violento. Si tratta di un’opportunità per approfondire il contributo del fenomeno religioso e il ruolo dell’educazione a una vera pacificazione del tessuto sociale, necessaria per la convivenza in una società multiculturale.
In tal senso, desidero esprimere il convincimento che ogni autorità politica non debba limitarsi a garantire la sicurezza dei propri cittadini – concetto che può facilmente ricondursi ad un semplice “quieto vivere” – ma sia chiamata anche a farsi vera promotrice e operatrice di pace. La pace è una “virtù attiva”, che richiede l’impegno e la collaborazione di ogni singola persona e dell’intero corpo sociale nel suo insieme. Come osservava il Concilio Vaticano II, «la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente»[8], tutelando il bene delle persone, rispettandone la dignità. Edificarla richiede anzitutto di rinunciare alla violenza nel rivendicare i propri diritti[9]. Proprio a tale principio ho voluto dedicare il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017, intitolato: «La nonviolenza: stile di una politica per la pace», per richiamare anzitutto come la nonviolenza sia uno stile politico, basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona.
Edificare la pace esige anche che «si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre»[10], a cominciare dalle ingiustizie. Infatti, esiste un intimo legame fra giustizia e pace[11]. «Ma – osservava san Giovanni Paolo II – poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com’è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. […] Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia [ma] mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale […] è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali»[12]. Queste parole, oggi più che mai attuali, hanno incontrato la disponibilità di alcuni Capi di Stato o di Governo ad accogliere il mio invito a compiere un gesto di clemenza verso i carcerati. A loro, come pure a quanti si adoperano per creare condizioni di vita dignitose per i detenuti e favorire il loro reinserimento nella società, desidero esprimere la mia particolare riconoscenza e gratitudine.
Sono convinto che per molti il Giubileo straordinario della Misericordia sia stata un’occasione particolarmente propizia anche per scoprire la «grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale»[13]. Ciascuno può così contribuire a dare vita ad «una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli»[14]. Solo così si potranno costruire società aperte e accoglienti verso gli stranieri e, nello stesso tempo, sicure e in pace al loro interno. Ciò è tanto più necessario nel tempo presente, in cui proseguono senza sosta in diverse parti del mondo ingenti flussi migratori. Penso in modo particolare ai numerosi profughi e rifugiati in alcune zone dell’Africa, nel Sudest asiatico e a quanti fuggono dalle zone di conflitto in Medio Oriente.
Lo scorso anno la comunità internazionale si è confrontata con due importanti appuntamenti convocati dalle Nazioni Unite: il primo Vertice Umanitario Mondiale e il Vertice sui Vasti Movimenti di Rifugiati e Migranti. Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse»[15], e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti.
Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione. Soprattutto non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico.
Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario, non di rado con notevoli sforzi e pesanti disagi, di far fronte ad un’emergenza che non sembra aver fine. Tutti dovrebbero sentirsi costruttori e concorrenti al bene comune internazionale, anche attraverso gesti concreti di umanità, che costituiscono fattori essenziali di quella pace e di quello sviluppo che intere nazioni e milioni di persone attendono ancora. Sono perciò grato ai tanti Paesi che con generosità accolgono quanti sono nel bisogno, a partire dai diversi Stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia.
Mi rimarrà sempre impresso il viaggio che ho compiuto nell’isola di Lesvos, insieme ai miei fratelli il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos, dove ho visto e toccato con mano la drammatica situazione dei campi profughi, ma anche l’umanità e lo spirito di servizio delle molte persone impegnate per assisterli. Né bisogna dimenticare l’accoglienza offerta da altri Paesi europei e del Medio Oriente, quali il Libano, la Giordania, la Turchia, come pure l’impegno di diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Anche nel corso del mio viaggio in Messico, dove ho potuto sperimentare la gioia del popolo messicano, mi sono sentito vicino alle migliaia di migranti dell’America Centrale, che patiscono terribili ingiustizie e pericoli nel tentativo di poter avere un futuro migliore, vittime di estorsione e oggetto di quel deprecabile commercio – orribile forma di schiavitù moderna – che è la tratta delle persone.
Nemica della pace è una tale “visione ridotta” dell’uomo, che presta il fianco al diffondersi dell’iniquità, delle disuguaglianze sociali, della corruzione. Proprio nei confronti di quest’ultimo fenomeno, la Santa Sede ha assunto nuovi impegni, depositando, formalmente lo scorso 19 settembre, lo strumento di adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003.
Nella sua Enciclica Populorum progressio, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario, il beato Paolo VI ricordava come tali disuguaglianze provochino discordie. «Il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo»[16] che le autorità pubbliche hanno l’onere di incoraggiare e favorire, creando le condizioni per una più equa distribuzione delle risorse e stimolando le opportunità di lavoro soprattutto per i più giovani. Nel mondo ci sono ancora troppe persone, specialmente bambini, che soffrono per endemiche povertà e vivono in condizioni di insicurezza alimentare – anzi di fame –, mentre le risorse naturali sono fatte oggetto dell’avido sfruttamento di pochi ed enormi quantità di cibo vengono sprecate ogni giorno.
I bambini e i giovani sono il futuro, sono coloro per i quali si lavora e si costruisce. Non possono venire egoisticamente trascurati e dimenticati. Per tale ragione, come ho richiamato recentemente in una lettera inviata a tutti i Vescovi, ritengo prioritaria la difesa dei bambini, la cui innocenza è spesso spezzata sotto il peso dello sfruttamento, del lavoro clandestino e schiavo, della prostituzione o degli abusi degli adulti, dei banditi e dei mercanti di morte[17].
Nel corso del mio viaggio in Polonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, ho avuto modo di incontrare migliaia di giovani, pieni di entusiasmo e di gioia di vivere. Di tanti altri ho però visto il dolore e la sofferenza. Penso ai ragazzi e alle ragazze che subiscono le conseguenze dell’atroce conflitto in Siria, privati delle gioie dell’infanzia e della giovinezza: dalla possibilità di giocare liberamente all’opportunità di andare a scuola. A loro e a tutto il caro popolo siriano va il mio costante pensiero, mentre faccio appello alla comunità internazionale perché si adoperi con solerzia per dare vita ad un negoziato serio, che metta per sempre la parola fine al conflitto, che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria. Ciascuna delle parti in causa deve ritenere come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione. Il comune auspicio è che la tregua recentemente firmata possa essere un segno di speranza per tutto il popolo siriano, che ne ha profonda necessità.
Ciò esige anche che ci si adoperi per debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati. Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle armi nucleari. Rimangono ancora molto attuali le parole di san Giovanni XXIII nella Pacem in terris, allorché affermava che «saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari»[18]. In tale prospettiva, anche in vista della prossima Conferenza sul Disarmo, la Santa Sede si adopera per promuovere un’etica della pace e della sicurezza che vada al di là di quella paura e “chiusura” che condiziona il dibattito sulle armi nucleari.
Anche per quanto riguarda gli armamenti convenzionali, occorre rilevare che la facilità con cui non di rado si può accedere al mercato delle armi, anche di piccolo calibro, oltre ad aggravare la situazione nelle diverse aree di conflitto, produce un diffuso e generale sentimento di insicurezza e di paura, tanto più pericoloso, quanto più si attraversano momenti di incertezza sociale e cambiamenti epocali come quello attuale.
Nemica della pace è l’ideologia che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare. Purtroppo nuove forme ideologiche si affacciano continuamente all’orizzonte dell’umanità.
Mascherandosi come portatrici di bene per il popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni, tensioni sociali, sofferenza e non di rado anche morte. La pace, invece, si conquista con la solidarietà. Da essa germoglia la volontà di dialogo e la collaborazione, che trova nella diplomazia uno strumento fondamentale. Nella prospettiva della misericordia e della solidarietà si colloca l’impegno convinto della Santa Sede e della Chiesa cattolica nello scongiurare i conflitti o nell’accompagnare processi di pace, di riconciliazione e di ricerca di soluzioni negoziali agli stessi. Rincuora poter vedere che alcuni tentativi intrapresi incontrano la buona volontà di tante persone che, da più parti, si adoperano attivamente e fattivamente per la pace. Penso agli sforzi compiuti nell’ultimo biennio per riavvicinare Cuba e gli Stati Uniti. Penso anche allo sforzo intrapreso con tenacia, seppure fra difficoltà, per terminare anni di conflitto in Colombia.
Tale approccio intende favorire la fiducia reciproca, sostenere cammini di dialogo e sottolineare la necessità di gesti coraggiosi, che sono quanto mai urgenti anche nel vicino Venezuela, dove le conseguenze della crisi politica, sociale ed economica, stanno da tempo gravando sulla popolazione civile; o in altre parti del globo, a cominciare dal Medio Oriente, non solo per porre fine al conflitto siriano, ma anche per favorire società pienamente riconciliate in Iraq e in Yemen. La Santa Sede rinnova inoltre il suo pressante appello affinché riprenda il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, perché si giunga ad una soluzione stabile e duratura che garantisca la pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti. Nessun conflitto può diventare un’abitudine dalla quale sembra quasi che non ci si riesca a separare. Israeliani e Palestinesi hanno bisogno di pace. Tutto il Medio Oriente ha urgente bisogno di pace!
Parimenti auspico la piena attuazione degli accordi volti a ristabilire la pace in Libia, dove è quanto mai urgente ricomporre le divisioni di questi anni. Allo stesso modo incoraggio ogni sforzo a livello locale e internazionale per ripristinare la convivenza civile in Sudan, in Sud Sudan e nella Repubblica Centroafricana, martoriate da persistenti scontri armati, massacri e devastazioni, come pure in altre Nazioni del continente segnate da tensioni e instabilità politica e sociale. In particolare, esprimo l’auspicio che il recente accordo firmato nella Repubblica Democratica del Congo contribuisca a far sì che quanti hanno responsabilità politiche si adoperino con solerzia per favorire la riconciliazione e il dialogo fra tutte le componenti della società civile. Il mio pensiero va, inoltre, al Myanmar affinché si favorisca una pacifica coesistenza e, con l’aiuto della comunità internazionale, non si manchi di assistere coloro che ne hanno grave e urgente necessità.
Anche in Europa, dove non mancano le tensioni, la disponibilità al dialogo è l’unica via per garantire la sicurezza e lo sviluppo del continente. Accolgo pertanto con favore le iniziative volte a favorire il processo di riunificazione di Cipro – proprio oggi riprendono i negoziati –, mentre auspico che in Ucraina si prosegua con determinazione nella ricerca di soluzioni percorribili per la piena realizzazione degli impegni assunti dalle Parti e, soprattutto, si dia una pronta risposta alla situazione umanitaria, che rimane tuttora grave.
L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare[19], che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli. In questa sede non posso che ribadire l’interesse e la preoccupazione della Santa Sede per l’Europa e per il suo futuro, nella consapevolezza che i valori su cui tale progetto, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, ha tratto la propria origine e si fonda sono comuni a tutto il continente e travalicano gli stessi confini dell’Unione Europea.
Eccellenze, Signore e Signori,
edificare la pace significa anche adoperarsi attivamente per la cura del creato. L’Accordo di Parigi sul clima, entrato recentemente in vigore, è un segno importante del comune impegno per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo bello e vivibile. Auspico che lo sforzo intrapreso in tempi recenti per fronteggiare i cambiamenti climatici trovi una sempre più vasta cooperazione di tutti, poiché la Terra è la nostra casa comune e occorre considerare che le scelte di ciascuno hanno ripercussioni sulla vita di tutti.
Tuttavia, è evidente anche che ci sono fenomeni che superano le possibilità dell’azione umana. Mi riferisco ai numerosi terremoti che hanno colpito alcune regioni del mondo. Penso anzitutto a quelli avvenuti in Ecuador, in Italia e in Indonesia, che hanno provocato numerose vittime, e tuttora molte persone vivono in condizioni di grande precarietà. Ho potuto visitare personalmente alcune aree colpite dal terremoto nel centro Italia, dove, nel constatare le ferite che il sisma ha provocato ad una terra ricca di arte e di cultura, ho potuto condividere il dolore di tante persone, insieme al loro coraggio e alla determinazione a ricostruire quanto è andato distrutto. Auspico che la solidarietà che ha unito il caro popolo italiano nelle ore successive al terremoto, continui ad animare l’intera Nazione, soprattutto in questo tempo delicato della sua storia. La Santa Sede e l’Italia sono particolarmente legate da ovvie motivazioni storiche, culturali e geografiche. Tale legame è apparso in modo evidente nell’anno giubilare e ringrazio tutte le Autorità italiane per l’aiuto offerto nell’organizzazione di tale evento, anche per garantire la sicurezza dei pellegrini, giunti da ogni parte del mondo.
Cari Ambasciatori,
la pace è un dono, una sfida e un impegno. Un dono perché essa sgorga dal cuore stesso di Dio; una sfida perché è un bene che non è mai scontato e va continuamente conquistato; un impegno perché esige l’appassionata opera di ogni persona di buona volontà nel ricercarla e costruirla. Non c’è, dunque, vera pace se non a partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo sviluppo è il nuovo nome della pace»[20], come ricordava il beato Paolo VI. Questo è dunque il mio auspicio per l’anno appena iniziato: che possano crescere fra i nostri Paesi e i loro popoli le occasioni per lavorare insieme e costruire una pace autentica. Da parte sua, la Santa Sede, e in particolare la Segreteria di Stato, sarà sempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono.
Nella liturgia pronunciamo il saluto «la pace sia con voi». Con questa espressione, pegno di copiose benedizioni divine, rinnovo a ciascuno di Voi, distinti membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie, ai Paesi che qui rappresentate, i miei più sinceri auguri per il nuovo anno.
Grazie.
www.변기영몬시뇰사랑방.kr, ⇨wind bell 에서 퍼온 글
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프란치스코 교황 성하, 한반도의 북한핵무기 실험 계속과
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Pope Francis Speeches :
Pope Francis: New Year's address to Diplomatic Corps
(Vatican Radio) Pope Francis on Monday appealed to all religious authorities to join in “reaffirming unequivocally that one can never kill in God’s name,” saying the world is “dealing with a homicidal madness which misuses God’s name in order to disseminate death, in a play for domination and power.”
The Holy Father was giving his annual address to the Diplomatic Corps accredited to the Holy See. “Fundamentalist terrorism is the fruit of a profound spiritual poverty, and often is linked to significant social poverty,” – the Pope said – “It can only be fully defeated with the joint contribution of religious and political leaders.”
Click here for our report on the Pope's address.
The full text of the Holy Father's address to the Diplomatic Corps accredited to the Holy See may be found in official English translation below
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ADDRESS OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS
TO THE MEMBERS OF THE DIPLOMATIC CORPS
Monday, 9 January 2017
TO THE MEMBERS OF THE DIPLOMATIC CORPS
Monday, 9 January 2017
Your Excellencies, dear Ambassadors,
Ladies and Gentlemen,
Ladies and Gentlemen,
I offer you a cordial welcome. I thank you for your presence in such numbers at this traditional gathering, which permits us to exchange greetings and good wishes that the year just beginning will be for everyone a time of joy, prosperity and peace. I express particular gratitude to the Dean of the Diplomatic Corps, His Excellency Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, the Ambassador of Angola, for his courteous greetings on behalf of the entire Diplomatic Corps accredited to the Holy See, which has recently been enlarged following the establishment of diplomatic relations with the Islamic Republic of Mauritania a month ago. I likewise express my gratitude to the many Ambassadors resident in Rome, whose number has grown this past year, and to the non-resident Ambassadors, whose presence today is a clear sign of the bonds of friendship uniting their peoples to the Holy See. At the same time, I would like to express heartfelt condolences to the Ambassador of Malaysia for the death of his predecessor, Dato’ Mohd Zulkephli Bin Mohd Noor, who passed away last February.
In the course of the past year, relations between your countries and the Holy See were further consolidated, thanks to the welcome visit of many Heads of State and Government, also in conjunction with the numerous events of the recently concluded Extraordinary Jubilee of Mercy. So too, a variety of bilateral Agreements were signed or ratified, both those of a general nature aimed at recognizing the Church’s juridical status, with the Democratic Republic of Congo, Central African Republic, Benin and Timor East, and those of a more specific character, the Avenant signed with France, the Convention on fiscal matters with the Republic of Italy, recently entered into force, and the Memorandum of Understanding between the Secretariat of State and the Government of the United Arab Emirates. Furthermore, in the context of the Holy See’s commitment to the obligations assumed by the aforementioned Agreements, the Comprehensive Agreement with the State of Palestine, which took effect a year ago, was fully implemented.
Dear Ambassadors,
A century ago, we were in the midst of the First World War. A “useless slaughter”,[1] in which new methods of warfare sowed death and caused immense suffering to the defenceless civil population. In 1917, the conflict changed profoundly, taking on increasingly global proportions, while those totalitarian regimes, which were long to be a cause of bitter divisions, began to appear on the horizon. A hundred years later, it can be said that many parts of the world have benefited from lengthy periods of peace, which have favoured opportunities for economic development and unprecedented prosperity. For many people today, peace appears as a blessing to be taken for granted, for all intents an acquired right to which not much thought is given. Yet, for all too many others, peace remains merely a distant dream. Millions of people still live in the midst of senseless conflicts. Even in places once considered secure, a general sense of fear is felt. We are frequently overwhelmed by images of death, by the pain of innocent men, women and children who plead for help and consolation, by the grief of those mourning the loss of a dear one due to hatred and violence, and by the drama of refugees fleeing war and migrants meeting tragic deaths.
For this reason, I would like to devote today’s meeting to the theme of security and peace. In today’s climate of general apprehension for the present, and uncertainty and anxious concern for the future, I feel it is important to speak a word of hope, which can also indicate a path on which to embark.
Just a few days ago, we celebrated the Fiftieth World Day of Peace, instituted by my blessed predecessor Paul VI “as a hope and as a promise, at the beginning of the calendar which measures and describes the path of human life in time, that peace with its just and beneficent equilibrium may dominate the development of events to come”.[2] For Christians, peace is a gift of the Lord, proclaimed in song by the Angels at the moment of Christ’s birth: “Glory to God in the highest heaven, and on earth peace among those whom he favours” (Lk 2:14). Peace is a positive good, “the fruit of the right ordering of things” with which God has invested human society;[3] it is “more than the absence of war”.[4] Nor can it be “reduced to the maintenance of a balance of power between opposing forces”.[5] Rather, it demands the commitment of those persons of good will who “thirst for an ever more perfect reign of justice”.[6]
In this regard, I voice my firm conviction that every expression of religion is called to promote peace. I saw this clearly in the World Day of Prayer for Peace held in Assisi last September, during which the representatives of the different religions gathered to “give voice together to all those who suffer, to all those who have no voice and are not heard”,[7] as well as in my visits to the Synagogue of Rome and the Mosque in Baku.
We know that there has been no shortage of acts of religiously motivated violence, beginning with Europe itself, where the historical divisions between Christians have endured all too long. In my recent visit to Sweden, I mentioned the urgent need for healing past wounds and journeying together towards common goals. The basis of that journey can only be authentic dialogue between different religious confessions. Such dialogue is possible and necessary, as I wished to show by my meeting in Cuba with Patriarch Kirill of Moscow, as well as by my Apostolic Journeys to Armenia, Georgia and Azerbaijan, where I sensed the rightful aspiration of those peoples to resolve conflicts which for years have threatened social harmony and peace.
At the same time, it is fitting that we not overlook the great number of religiously inspired works that contribute, at times with the sacrifice of martyrs, to the pursuit of the common good through education and social assistance, especially in areas of great poverty and in theatres of conflict. These efforts advance peace and testify that individuals of different nationalities, cultures and traditions can indeed live and work together, provided that the dignity of the human person is placed at the centre of their activities.
Sadly, we are conscious that even today, religious experience, rather than fostering openness to others, can be used at times as a pretext for rejection, marginalization and violence. I think particularly of the fundamentalist-inspired terrorism that in the past year has also reaped numerous victims throughout the world: in Afghanistan, Bangladesh, Belgium, Burkina Faso, Egypt, France, Germany, Jordan, Iraq, Nigeria, Pakistan, the United States of America, Tunisia and Turkey. These are vile acts that use children to kill, as in Nigeria, or target people at prayer, as in the Coptic Cathedral of Cairo, or travellers or workers, as in Brussels, or passers-by in the streets of cities like Nice and Berlin, or simply people celebrating the arrival of the new year, as in Istanbul.
We are dealing with a homicidal madness which misuses God’s name in order to disseminate death, in a play for domination and power. Hence I appeal to all religious authorities to join in reaffirming unequivocally that one can never kill in God’s name. Fundamentalist terrorism is the fruit of a profound spiritual poverty, and often is linked to significant social poverty. It can only be fully defeated with the joint contribution of religious and political leaders. The former are charged with transmitting those religious values which do not separate fear of God from love of neighbour. The latter are charged with guaranteeing in the public forum the right to religious freedom, while acknowledging religion’s positive and constructive contribution to the building of a civil society that sees no opposition between social belonging, sanctioned by the principle of citizenship, and the spiritual dimension of life. Government leaders are also responsible for ensuring that conditions do not exist that can serve as fertile terrain for the spread of forms of fundamentalism. This calls for suitable social policies aimed at combating poverty; such policies cannot prescind from a clear appreciation of the importance of the family as the privileged place for growth in human maturity, and from a major investment in the areas of education and culture.
In this regard, I was interested to learn of the Council of Europe’s initiative on the religious dimension of intercultural dialogue, which in the past year discussed the role of education in preventing radicalization leading to terrorism and extremist violence. This represents an occasion for a better understanding of the role of religion and education in bringing about the authentic social harmony needed for coexistence in a multicultural society.
Here I would express my conviction that political authorities must not limit themselves to ensuring the security of their own citizens – a concept which could easily be reduced to a mere “quiet life” – but are called also to work actively for the growth of peace. Peace is an “active virtue”, once that calls for the engagement and cooperation of each individual and society as a whole. As the Second Vatican Council observed, “peace will never be achieved once and for all, but must be built up continually”,[8] by safeguarding the good of persons and respecting their dignity. Peacemaking requires above all else renouncing violence in vindicating one’s rights.[9] To this very principle I devoted my Message for the 2017 World Day of Peace, with the title, “Nonviolence: a Style of Politics for Peace”. I wished primarily to reaffirm that nonviolence is a political style based on the rule of law and the dignity of each person.
Peacemaking also demands that “those causes of discord which lead to wars be rooted out”,[10] beginning with acts of injustice. Indeed, justice and peace are intimately linked[11]. Yet, as Saint John Paul II observed, “because human justice is always fragile and imperfect, subject as it is to the limitations and egoism of individuals and groups, it must include and, as it were, be completed by the forgiveness that heals and rebuilds human relations from their foundations… Forgiveness is in no way opposed to justice. It is rather the fullness of justice, leading to that tranquillity of order” which involves “the deepest healing of the wounds which fester in human hearts. Justice and forgiveness are both essential to such healing”.[12] Those words remain most timely, and met with openness on the part of some Heads of State or Government to my request to make a gesture of clemency towards the incarcerated. To them, and to all those who promote dignified living conditions for prisoners and their reintegration into society, I would like to express my particular appreciation and gratitude.
I am convinced that for many people the Extraordinary Jubilee of Mercy was an especially fruitful moment for rediscovering “mercy’s immense positive influence as a social value”.[13] In this way, everyone can help bring about “a culture of mercy, based on the rediscovery of encounter with others, a culture in which no one looks at another with indifference or turns away from the suffering of our brothers and sisters”.[14] Only thus will it be possible to build societies that are open and welcoming towards foreigners and at the same time internally secure and at peace. This is all the more needed at the present time, when massive waves of migration continue in various parts of the world. I think in a special way of the great numbers of displaced persons and refugees in some areas of Africa and Southeast Asia, and all those who are fleeing areas of conflict in the Middle East.
Last year the international community gathered at two important events convened by the United Nations: the first World Humanitarian Summit and the Summit for Refugees and Migrants. With regard to migrants, displaced persons and refugees, a common commitment is needed, one focused on offering them a dignified welcome. This would involve respecting the right of “every human being… to emigrate to other countries and take up residence there”,[15] while at the same time ensuring that migrants can be integrated into the societies in which they are received without the latter sensing that their security, cultural identity and political-social stability are threatened. On the other hand, immigrants themselves must not forget that they have a duty to respect the laws, culture and traditions of the countries in which they are received.
Prudence on the part of public authorities does not mean enacting policies of exclusion vis-à-vis migrants, but it does entail evaluating, with wisdom and foresight, the extent to which their country is in a position, without prejudice to the common good of citizens, to offer a decent life to migrants, especially those truly in need of protection. Above all, the current crisis should not be reduced to a simple matter of numbers. Migrants are persons, with their own names, stories and families. There can never be true peace as long as a single human being is violated in his or her personal identity and reduced to a mere statistic or an object of economic calculation.
The issue of migration is not one that can leave some countries indifferent, while others are left with the burden of humanitarian assistance, often at the cost of notable strain and great hardship, in the face of an apparently unending emergency. All should feel responsible for jointly pursuing the international common good, also through concrete gestures of human solidarity; these are essential building-blocks of that peace and development which entire nations and millions of people still await. So I am grateful to the many countries which offer a generous welcome to those in need, beginning with various European nations, particularly Italy, Germany, Greece and Sweden.
I vividly remember my visit to the island of Lesvos in the company of my brothers Patriarch Bartholomew and Archbishop Ieronymos. There I saw at first hand the dramatic situation of the refugee camps, but also the goodness and spirit of service shown by the many persons committed to assisting those living there. Nor should we overlook the welcome offered by other countries of Europe and the Middle East, such as Lebanon, Jordan and Turkey, as well as the commitment of various African and Asian countries. In the course of my visit to Mexico, where I experienced the joy of the Mexican people, I likewise felt close to the thousands of migrants from Central America who, in their attempt to find a better future, endure terrible injustices and dangers, victims of extortion and objects of that deplorable trade – that horrible form of modern slavery – which is human trafficking.
One enemy of peace is a “reductive vision” of the human person, which opens the way to the spread of injustice, social inequality and corruption. With regard to this last phenomenon, the Holy See has taken on new commitments with its formal adherence, on 19 September last, to the United Nations Convention against Corruption, adopted by the General Assembly of the United Nations on 31 October 2003.
In his encyclical Populorum Progressio, issued fifty years ago, Blessed Paul VI noted how such situations of inequality provoke conflict. As he stated, “civil progress and economic development are the only road to peace”,[16] which public authorities have the duty to encourage and foster by creating conditions for a more equitable distribution of resources and by generating employment opportunities, especially for young people. In today’s world, all too many people, especially children, still suffer from endemic poverty and live in conditions of food insecurity – indeed, hunger – even as natural resources are the object of greedy exploitation by a few, and enormous amounts of food are wasted daily.
Children and young people are the future; it is for them that we work and build. They cannot be selfishly overlooked or forgotten. As I stated recently in a letter addressed to all bishops, I consider it a priority to protect children, whose innocence is often violated by exploitation, clandestine and slave labour, prostitution or the abuse of adults, criminals and dealers in death.[17]
During my visit to Poland for World Youth Day, I encountered thousands of young people full of life and enthusiasm. Yet in many of them I also saw pain and suffering. I think of the young people affected by the brutal conflict in Syria, deprived of the joys of childhood and youth, such as the ability to play games and to attend school. My constant thoughts are with them and the beloved Syrian people. I appeal to the international community to make every effort to encourage serious negotiations for an end to the conflict, which is causing a genuine human catastrophe. Each of the parties must give priority to international humanitarian law, and guarantee the protection of civilians and needed humanitarian aid for the populace. Our common aspiration is that the recently signed truce will be a sign of hope for the whole Syrian people, so greatly in need of it.
This also means working for the elimination of the deplorable arms trade and the never-ending race to create and spread ever more sophisticated weaponry. Particularly disturbing are the experiments being conducted on the Korean Peninsula, which destabilize the entire region and raise troubling questions for the entire international community about the risk of a new nuclear arms race. The words of Saint John XXIII in Pacem in Terris continue to ring true: “Justice, right reason and the recognition of human dignity cry out insistently for a cessation to the arms race. The stockpiles of armaments which have been built up in various countries must be reduced all round by the parties concerned. Nuclear weapons must be banned”.[18] In the light of this, and in view of the forthcoming Conference on Disarmament, the Holy See seeks to promote an ethics of peace and security that goes beyond that fear and “closure” which condition the debate on nuclear weapons.
Also with regard to conventional weapons, we need to acknowledge that easy access to the sale of arms, including those of small calibre, not only aggravates various conflicts, but also generates a widespread sense of insecurity and fear. This is all the more dangerous in times, like our own, of social uncertainty and epochal changes.
Another enemy of peace is the ideology that exploits social unrest in order to foment contempt and hate, and views others as enemies to be eliminated. Sadly, new ideologies constantly appear on the horizon of humanity. Under the guise of promising great benefits, they instead leave a trail of poverty, division, social tensions, suffering and, not infrequently, death. Peace, on the other hand, triumphs through solidarity. It generates the desire for dialogue and cooperation which finds an essential instrument in diplomacy. Mercy and solidarity inspire the convinced efforts of the Holy See and the Catholic Church to avert conflicts and to accompany processes of peace, reconciliation and the search for negotiated solutions. It is heartening that some of these attempts have met with the good will of many people who, from a number of quarters, have actively and fruitfully worked for peace. I think of the efforts made in the last two years for rapprochement between Cuba and the United States. I think also of the persevering efforts made, albeit not without difficulty, to end years of conflict in Colombia.
That approach aims at encouraging reciprocal trust, supporting processes of dialogue and emphasizing the need for courageous gestures. These are quite urgent in neighbouring Venezuela, where the effects of the political, social and economic crisis have long burdened the civil population. So too in other parts of the world, beginning with the Middle East, a similar approach is needed, not only to bring an end to the Syrian conflict, but also to foster fully reconciled societies in Iraq and in Yemen. The Holy See renews its urgent appeal for the resumption of dialogue between Israelis and Palestinians towards a stable and enduring solution that guarantees the peaceful coexistence of two states within internationally recognized borders. No conflict can become a habit impossible to break. Israelis and Palestinians need peace. The whole Middle East urgently needs peace!
I also express my hope that there will be a full implementation of the agreements aimed at restoring peace in Libya, where it is imperative to reconcile the divisions of recent years. I likewise encourage every effort on the local and international level to renew peaceful civil coexistence in Sudan and South Sudan, and in the Central African Republic, all plagued by ongoing armed conflicts, massacres and destruction, as well as in other African nations marked by tensions and political and social instability. In particular, I express my hope that the recently-signed agreement in the Democratic Republic of Congo may help enable political leaders to work diligently to pursue reconciliation and dialogue between all elements of civil society. My thoughts also turn to Myanmar, that efforts will be made to foster peaceful co-existence and, with the support of the international community, to provide assistance to those in grave and pressing need.
In Europe too, where tensions also exist, openness to dialogue is the only way to ensure the security and development of the continent. Consequently, I welcome those initiatives favouring the process of reunification in Cyprus, where negotiations resume today, and I express my hope that in Ukraine viable solutions will continue to be pursued with determination in order to fulfil the commitments undertaken by the parties involved and, above all, that a prompt response will be given to the humanitarian situation, which remains grave.
Europe as a whole is experiencing a decisive moment in its history, one in which it is called to rediscover its proper identity. This requires recovering its roots in order to shape its future. In response to currents of divisiveness, it is all the more urgent to update “the idea of Europe”, so as to give birth to a new humanism based on the capacity to integrate, dialogue and generate[19] that made the “Old Continent” great. The process of European unification, begun after the Second World War, continues to be a unique opportunity for stability, peace and solidarity between peoples. On this occasion, I can only reaffirm the interest and concern of the Holy See for Europe and its future, conscious that the values that were the inspiration and basis of that project, which this year celebrates its sixtieth anniversary, are values common to the entire continent and transcend the borders of the European Union itself.
Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,
To build peace also means to work actively for the care of creation. The Paris Agreement on the climate, which recently took effect, is an important sign of the shared commitment to bequeath a more beautiful and livable world to those who will come after us. It is my hope that the efforts made in recent times to respond to climate change will meet with increased cooperation on the part of all, for the earth is our common home and we need to realize that the choices of each have consequences for all.
Clearly, however, certain phenomena go beyond the possibilities of human intervention. I refer to the numerous earthquakes which have struck some areas of the world. I think especially of those in Ecuador, Italy and Indonesia, which has claimed numerous victims and left many others in conditions of great insecurity. I was able to visit personally some of the areas affected by the earthquake in central Italy. In addition to seeing the damage done to a land rich in art and culture, I shared the pain of many people, but I also witnessed their courage and their determination to rebuild what was destroyed. I pray that the solidarity which united the beloved Italian people in the days after the earthquake will continue to inspire the entire nation, particularly at this delicate time in its history. The Holy See and Italy are particularly close for obvious historical, cultural and geographical reasons. This relationship was evident in the Jubilee Year, and I thank all the Italian authorities for their help in organizing this event and ensuring the security of pilgrims from all over the world.
Dear Ambassadors,
Peace is a gift, a challenge and a commitment. It is a gift because it flows from the very heart of God. It is a challenge because it is a good that can never be taken for granted and must constantly be achieved. It is a commitment because it demands passionate effort on the part of all people of goodwill to seek and build it. For true peace can only come about on the basis of a vision of human beings capable of promoting an integral development respectful of their transcendent dignity. As Blessed Paul VI observed, “development is the new name for peace”.[20]
This, then, is my prayerful hope for the year just begun: that our countries and their peoples may find increased opportunities to work together in building true peace. For its part, the Holy See, and the Secretariat of State in particular, will always be ready to cooperate with those committed to ending current conflicts and to offer support and hope to all who suffer.
In the Church’s liturgy, we greet one another with the words: “Peace be with you”. With this same greeting, as a pledge of abundant divine blessings, I renew to each of you, distinguished members of the Diplomatic Corps, to your families and to the countries you represent, my heartfelt good wishes for the New Year.
Thank you.
[1] BENEDICT XV, Letter to the Leaders of the Peoples at War (1 August 1917): AAS 9 (1917), 421.
[2] Message for the Celebration of the First World Day of Peace (1 January 1968).
[3] SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution Gaudium et Spes (7 December 1965), 78.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] Address at the World Day of Prayer for Peace, Assisi, 20 September 2016.
[8] Pastoral Constitution Gaudium et Spes, 78.
[9] Cf. ibid.
[10] Ibid., 83.
[11] Cf. Ps 85:11 and Is 32:17.
[12] Message for the Thirty-fifth World Day of Peace: There is no Peace without Justice, There is no Justice without Forgiveness (1 January 2002), 3.
[13] Apostolic Letter Misericordia et Misera (20 November 2016), 18.
[14] Ibid., 20.
[15] JOHN XXIII, Encyclical Letter Pacem in Terris (11 April 1963), 25.
[16] Encyclical Letter Populorum Progressio (26 March 1967), 83.
[17] Cf. Letter to Bishops on the Feast of the Holy Innocents, 28 December 2016.
[18] Encyclical Letter Pacem in Terris, 112.
[19] Cf. Address at the Conferral of the Charlemagne Prize, 6 May 2016.
[20] Cf. Encyclical Letter Populorum Progressio, 87.
www.변기영몬시뇰사랑방.kr, ⇨금주 교황님 말씀 중에,(Holy Father's Speech)에서 퍼온 글
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북한 핵실험에 우리 종교인들은 침묵해야 할 의무가 있는가? |
태평양과 태서양 작은 무인도 여기저기서는 미.영.불 등 서방 강대국들의 핵실험이 1990년대 들어 계속되었었다. 제주도 만큼씩 한 불덩어리가 바다 속에서 터지니 해수 온도 상승은 물론 기류 이변 원인이 되어, 의외의 지역에까지 엘리뇨와 라니냐 등으로 태풍과 폭우 등으로 기후 이변이 극심하게 되어 수십만 명씩 이재민이 나고 있다. 아시아 대륙의 고비 사막과 북극 凍土에서는 중.소.의 지하 핵실험으로 사천성 지역에까지 지진이 확대된다고 하였었다.
세계 도처의 지성인들과 성직자들은, 특히 교회는 이에 반대하며 중단하라는 경고를 큰 목소리로 외쳤었다. 천진암 성지의 다국어 홍보물에서도 용기를 내어 거론하였었다.(Berceau de l'Eglise
Catholique en Coree No. 12. 1994. 5. 25./이달의 천진암 불어판 제12호 ). 뒤이어 2개월 후, 교황 요한바오로 2세는 그 전부터 준비해오던 핵무기를 포함한 대량살상무기 실험 제조 금지를 역설하며, 국제사회의 무기거래 밀무역이, 일반 생필품 무역에 못지 않다는 보도가 한창일 때, 그 현실을 개탄하며, 각국 지도자들의 시급한 각성과 결단을 강력히 촉구하였다.
북한에서 지하핵실험이 예상된다는 보도가 연일 계속되고 있다. 군사 전문가들이나 정치가들만의 문제가 아니다. 유사시에 불행히도 악용되어 무기화할 때, 몇 명이나 되는 그 전문가들이 죽거나 다치랴? 모든 인류와 세계에 파멸의 가공할 위협이며 심각한 당면 문제가 아닌가? 더구나 핵무기가 국가나 정권을 지키지 못하며, 핵무기로 돈을 벌 수는 없다. 구 소련이 핵무기가 없어서 무너졌는가? 핵무기가 적어서 경제난으로 백성들이 굶주렸는가? 中共이 지금 이만 큼 밥술이나 먹게 된 것이 핵무기 덕택이 아니다. 등소평의 개방 덕분이다. 핵무기를 가지고 있어서, 무서워서 미국 상품을 사주는 나라는 없다. 핵무기로 남북통일을 이룰 수는 없다. 전쟁을 좀 덜 마다하는 강대국들을 끌어들일 뿐이다.
심각한 북한 핵 문제를 놓고 보수와 진보가, 마치 해방 후 모스크바 삼상회담 직후처럼, 서로가 옳다고 떠들며, 차라리 중도를 걷자는 비굴하고 무책임한 政治家然하는 자들이 없지 않다. 良心도, 愛國心도, 事理 판단력도, 洞察力도 없는 사람들이 설치고 있다. 핵문제가 어디 정치문제며 사상문제며 노선문제란 말인가? 핵문제에는 保守도, 進步도, 中道도, 南韓도, 北韓도, 社會도, 宗敎도, 天主敎도, 佛敎도, 따로 무관하게 있을 수가 없다.
사실 保守도 아닌 사람들이, 더구나 進步도 아닌 사람들이, 더더구나 그건 中道가 아니고,
양다리 걸친 타협이란 이름의 책임회피와 직무유기를 다반사로 여기는 사람들이 현명하고 정상적인 지도자들처럼 보이려고 한다. 실로 기가 막힐 노릇이다. 여기에는 오직 正道만이 있을 뿐이다.
우리는 오늘날 保守도 아니고, 進步도 아니며, 더구나 中道는 더욱 아니고, 오직 正道로만 나아가야 한다! 세상에는 뒤엉킨 길도 많지만, 바르고 곧은 길은 하나 뿐이 아닌가? 길가를 스치는 바람은 길이 아니다. 나무잎을 흔들며 지나갈 따름이다. 오늘날 우리 대한민국 사회가 나아갈 길은 保守도 아니고, 進步도 아니며, 그렇다고, 더구나 中道도 아니니, 오직 正道로만 나아가야 한다. 정치인도, 사법인도, 언론인도, 종교인도, 아니, 우리 국민 모두가,! 물론, 進步도, 保守도, 또 中道역시, 모두 正道 위에서, 正道만은 벗어나지 말아야만 하겠다!
進步가 正道를 벗어날 때, 모험과 위험의 함정으로 빠지는 길이 되고, 또 保守가 正道를 벗어나면, 기득권 유지 위한 부패로 인하여, 퇴보와 패배의 길로 가게 된다. 모두가 모를 수 없는 正道는 애국심과 신앙심과 양심이 가르쳐 주는 것이니, 이는 국가와 민족과 가정의 바탕이 되는 힘이다. 강대국의 國力이란 군사력이나 핵무기나 경제력이 아니라, 그 바탕이 되는 正道를 걸어가는 國民意識 수준이다.
사실 中道는 오늘날 우리 사회 안에서 거의가 타협의 산물이고, 책임을 회피하려는 약자의 몸부림이며, 반대와 방해를 피하면서, 존경과 영광과 추앙을 받고, 인기를 얻고자 하는 이들이 양편에서 던지는 돌에 맞을 용기가 없어서, 아주 비겁한 무골충이나, 보호색 변신만능의 오징어 같은 인생길을 찾는 이들이 가는 숨바꼭질 옆길이다. 인간사회의 외형을 규정하는 中道는 결코 우리가 걸어갈 正道가 아니다. 특히 지도자들이 걸어가야 할 길은 아니다.
따라서 비록, 中道가 오늘날 우리가 피할 수 없는 절충과 타협의 길이라고 하지만, 우리가 벗어나서는 아니 되는 正道는 아닐 때가 허다하다. 그런데 본래 正道로 향하는 길은 쉽고 편한 길이 아니라, 외롭고, 괴로운 길이다. 그러기에 文度公 요한 丁若鏞 承旨도, 1827년 늦봄, 65세의 노구를 이끌고, 어린 시절 자신이 10여 년간이나 공부하던 母校, 天眞菴을 마지막으로 다녀가면서, 고달프고 서글픈 심정을 토로하였다. “그 때나 이때나 나는 항상 한평생 괴로운 바다에 떠 있는 외로운 한척의 조각 배 신세로세”(猶然苦海一孤舟).
그렇다. 正道는 올바른 길이다. 이 길은 걸어가기가 매우 외롭고 괴로운 길이다. 이 길을 가는 이들이 그리 많지 않기 때문에 외롭다. 또 正道가 있는 이 세상에는 굽은 길들이 뒤엉켜 있는데다가, 우리 자신들도 正直하지 못하기 때문이다. 君子에게 있어서 中道는 必勿樂行해야 하며, 正道는 고독한 苦行의 길임을 각오해야 한다. 지쳐서 땀에 젖은 이마를 식혀주는 바람이 불어오는 방향은 正道가 아니고, 아예 길도 아니다. 길가와 길 위를 스치고 지나며, 나무잎을 흔들고 갈 뿐이다. 오늘날처럼 선풍기 만능시대에는,,,,!,
태산의 절벽 아래를 굽이굽이 흐르는 三峽 계곡에서 돛단배를 타고 내리며, 허다한 갈림 길 나루터마다 내려서, 나룻배 다시 바꿔 갈아타고 오르내리기를 거듭하는 나그네의 여로처럼, 우리네 인생길은, 李白의 표현대로, “참으로 다니기도 어렵고. 살아가기도 힘든 길이다. 내리고 또 타야만 할 갈림 길이 많기도 하기에!”(忽復乘舟夢日邊,行路難!,行路難!,多岐路!,,,)
어제의 進步는 오늘에 와서 保守가 되고, 그 사이에는 당장은 가장 지탄을 덜 받아 좀 안전한 中道가 있다지만 거기는 박쥐들이 왕노릇하는 동굴이 있을 뿐이다. 정치도, 사업도, 정당도, 정책도, 사람도 수시로 바꾸며, 모든 것을 다시 바꾸어 가며 살더라도, 누구도 바꿀 수는 없는, 또 바꾸어서는 아니되는 正道는 벗어나지 말도록 하자 ! 그래야만 참되고 올바른 保守와, 진정한 進步와, 초탈한 中道가 보일 것이다. Msgr. Byon
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오늘날 강대국들은 핵무기 제조와 보유를 반성해야 한다.
2012년 서울의 핵 관련 세계 정상 회의 개최를 당하여 20년전 小考를 다시 뒤적여 본다 ! -1994. 5. 25. 강론 초- 핵무기를 먼저 개발하고 제조하여 보유하고 있으면서, 약소국들과 인류를 위협하고 있는 것은 강대국들이다. 또 「강대국」이라는 사실 자체가 가장 「큰 무기」이기 때문에 핵무기가 없어도 아무런 위협을 받을 수 없는 것도 강대국들이다. 사자나 호랑이 같은 맹수는 「맹수」라는 그 자체가 하나의 무기이므로, 별도 무기가 불필요하나, 스컹크 같은 연약한 동물들은 독한 방귀 같은 자신 보호무기가 필요하듯이, 사실상 핵무기 개발 제조 보유의 필요성은 약소국들에게나 있음직한 구상인데, 오늘날 핵무기란 강대국들이 먼저 만들어가지고 갖가지 목적으로 약소국들에게 겁을 주고 있는 것이 사실이다.
또 아이들은 어른들한테서 거짓말과 욕설을 배우듯이, 약소국들이 핵무기 보유병에 전염되어, 강대국 흉내를 내보려고 하고 있는 것도 사실인데, 따지고 보면 그 책임이 먼저 「강대국」들에게 적지 않다. 그러므로 핵무기 사찰은 강대국들이 먼저 약소국들한테 수시로 받아야 할 일이며, 또 만일, 약소국들이 핵무기를 가지고 있다고 해서 강대국들을 점령할 수는 없는 일이므로, 핵무기 폐지는 강대국들이 먼저 모범을 보여야 할 일이다.
특히 우리가 근세에 와서, 대륙 민족들로부터의 1637년 병자호란과 해양 민족들로부터의
1593년 임진왜란 등을 겪으며, 비참한 전란에서 살아남은 선조들의 후예인 우리로서는, 특히 통일한국을 내다보면서, 핵무기 보유의 유혹을 떨쳐버릴 수 없는 것이 오늘 우리나라
대한민국 국민들의 솔직한 심정일 것이다.
그런데 지금 약소국이든 강대국이든 간에 제 정신을 잃은 각 나라의 정치 지도자들은 핵무기를 최후로 의지하는 대상인 神처럼 모시고 받들고 있다. 즉, 핵무기 신앙시대다. 그러나 핵무기란 장기 독재국가들의 체제 유지나 빈곤한 국가들의 경제발전에 백해무익할 뿐이며, 각국의 자국 방어나 타국 침범에도 사실상 실용성이 없는 무기이다. 남북통일을 위해서도 분명히 무용지물이다.
예를 들어, 소련이 핵무기가 없어서 와해되었으며, 아직도 빈곤에서 허덕이고 있는가? 소련의 핵무기가 미국의 핵무기보다 성능이 낮고 분량이 적어서 소련의 와해를 막지 못하였는가? 따라서 미국은 핵무기 덕택으로 현 체재를 유지하고 있으며, 경제발전을 이루었는가? 소련과 중공, 등이 핵개발을 하지 않았더라면 지금보다 더 세계 인류 번영에 기여했을 것이며, 자국들도 더 잘 살게 되었을 것이다.
사실상 약소국들의 핵무기 보유가 미국에 위협이 될 수 없는 동시에, 약소국들 자신의 체제 유지에도 아무런 도움도 되지 않을뿐더러, 오히려 약소국 자신들의 조직 붕괴에 가속제가 되고, 빈곤심화의 촉진제가 될 뿐인데도, 전 세계의 정치가들은 인류자멸의 핵무기 개발, 제조 등에 엄청난 자금과 정성을 바치며, 「핵무기 신앙」에 빠져 있으니, 강대국이든 약소국이든 간에 핵무기에 매달리는 나라는 광인집단이 아닐 수 없다.
핵무기를 제조, 보유하고 있는 나라들의 국민들은 도대체 왜 입을 다물고 있는가? 가난하고, 무지하고 순진한 약소국 국민들을 집단 살해하는 무기들을 만들어 팔아먹고 사는, 소위 선진 강대국 국민들은, 자신들이 마시는 커피가 약소민족들의 피를 흘리게 하는 무기를 팔아 벌어들인 돈으로 보다 싼 값에 사서 마실 수 있는 것이니, 저들의 커피에는 약소민족들의 피가 섞여있고, 또 자신들이 값싸게 사먹고 있는 빵에는 약소민족들의 살덩이가 섞여 있다는 것을 왜 모르고 있는가?
집단 살인무기를 제조 판매한 자금으로 국가를 운영하는 강대국의 국민들은 살인강도들의 가족들이 아닌가? 무서운 집단 살인무기를 만들어 팔아먹는 나라에는 사람다운 사람들이 없고, 사람의 모습을 가진 늑대들이 살고 있는 것이 아닌가? 도대체 강대국의 언론들은 무엇을 하고 있는가? 그러한 나라의 종교 지도자들은 집단 살상 무기 대량생산과 무역거래에 관하여, 침묵할 의무가 있는가?
지금 우리나라는 핵무기 때문에 가공할 전쟁 위험으로 치닫고 있다. 핵무기 개발이나 제조와는 전혀 거리가 먼, 순수 산업발전용이라던 북한의 핵은, 「서울을 불바다로 만들어 버릴 수 있다」는 큰 소리가 자연스레 나올 정도의 수준임을 드러냈고, 북한 핵을 막아야 한다는 불가피한 이유로, 우리는 우리나라를 미군의 부대 훈련장으로 쓰게 하지 않을 수가 없다. 누구도 달갑게 여길 수 없는 미사일 배치 요청이 불가피하게 만들고 있으니, 이는 바로 중국대륙까지도 목표로 삼는 것이 아니냐고, 대륙 민족의 눈매를 달라지게 하고 있다. 우리는 지금 남북관계와 열강들과의 관계, 또 이념과 사상을 배경으로 하는 상이한 체재 관계, 등으로 반핵적인 발언이나 주장에 대하여, 각기 전혀 다른 각도에서, 특히 남북과 열강들과의 이해관계 면에서 오해와 증오, 소외와 보복 등이 걱정스러워 사실상 속에 있는 말을 시원하게 털어놓기가 쉽지 않은 상황이다.
그러나 미국인들 중에도 핵무기를 반대하는 이들이 있고, 미국을 싫어하는 일본인들이 모두 공산주의자들이 아니므로, 반핵주의와 반미주의가 다르고, 반미주의와 용공주의가 다른데, 왜 아시아를 불바다로 만들 성냥개비가 한반도에서 춤을 추는 마당에, 무슨 독감에 걸렸길래 한국언론들의 목소리는 숨져가는 모기들의 울음소리같이 멀리 가냘프게 귀 밖에서만 울린 뿐인가? 국제적인 열강들의 세력은 언젠가 바뀌게 되고, 모든 나라 국민들의 사상도 변하고 있지만, 민족들은 보다 영구적이며, 그 생존은 절대 선천적인 것이 아닌가?
이제 소련의 민주화와 인도주의화, 한마디로 소련을 변화시킨 힘이 미국의 핵무기에 있는 것이 아니니, 소련의 회개와 개방이 자유민주주의 국가들의 핵무기 덕택이 아니다. 또 미국을 위시한 서방 열강들의 외교역량 덕택도 아니고, 서방 선진국들의 경제발전 덕택도 아니다. 소련개방에 핵무기가 기여한 역할은 없었다. 또 동시에 소련의 개방이 자유민주주의 국가들의 경제력때문에도 아니다. 무력이나 경제력의 격차나 불균형은 국가들간의 편파와 세력별 단결을 강화시키며, 나아가서는 국가들간의 전쟁을 야기시키기 쉬울 뿐이다.
한마디로 돈(경제력)이나 칼(무력)이나 말(외교수완)로 소련이 회개하고 개방되어, 인도주의 방향으로 돌아오고 있는 것이 아니라, 로마 교황님의 권고를 따라, 전 세계 천주교 신도들의 기도와 성모님의 도우심 덕택이다. 신자들의 기도와 성모님의 간청을 들으시는 천주께서 저들의 마음을 움직여주셨기 때문이다. 소련의 변화는 천주께서 현대 인류에게 읽어보라고 주시는 교과서이다. 천주께 기도하지 않는 사람들의 말은 공염불에 불과하다.
체육경기와 무기 제조라는 인간들의 완력과 무력 향상이 오늘날 인류의 문화발전을 어떤 방향으로 가게 하고 있는지, 어떤 영향을 미치고 있는지에 대하여 너무나 많은 지성인들이
장님이 되어 있다. 마치 경제발전이 국가존립의 유일한 목적인양 생각하면서, 또 지금도 무력이라는 것이 아직도 각 국가와 인류사회발전에 크게 기여하는 시대로 여기고 있으며, 그리하여 모든 나라가 경제발전 계획에만 광분하고 있고, U.N. 이라는 이름아래 국제회의는
장사꾼들의 노천시장처럼 되고 있을 뿐이 아닌가 한다.
또한, 오늘날 대부분의 정치가들과 언론인들은 천주교회가 마치 사회의 경제 문제나 복지문제 해결을 위하여 설립된 자선단체 조직체인양, 은연 중 복음의 변질을 시도하며 강요하고 있는데, 사실상 이는 자신들의 업무를 남들에게 떠넘기는 직무유기이다. 정말 교회 내의 일부 신앙인들까지 교회가 사회의 가난을 해결하는 기관인양 오판하고 있다.
우리 모두가 좀 제정신을 차려야 하겠다. 이웃을 내 몸같이 사랑한다는 것이 물질적 지원에만 너무 집중되어 있다. 사회복지문제가 가장 최고수순으로 해결된 북 유롭이나 서방 선진국의 국민들이 천주공경에서 더욱 멀어지고 있음은 무엇을 의미하고 있는가? 사실 소련이 회개하고 개방된 것은, 전 세계의 천주교신자들, 특히 매년 6백여만 명씩의 신도들이 로마 교황님의 권고를 따라, 파티마, 루르드, 반뇌 같은 여러 성지를 순례하면서, 무신론 공산주의, 유물론 사회주의 소련의 회개를 위하여, 소련 공산주의자들의 회심을 위해 성모님께 기도한 덕택으로 이루어진 것이다. 이처럼 우리나라의 남북통일도 신자들의 기도가 선행되고 지속되어야만 가능할 것이다.
오늘날 우리 남북한 동포들이 반드시 알아야 할 것은, 한국의 남북통일에 북한의 핵무기가 아무런 기여도 못할 것이며, 미국의 핵무기 덕택으로 우리겨레가 통일되지도 않을 것이라는 사실이다., 또 무력으로 통일해보겠다고 전쟁을 일으켜도, 기껏해야 휴전선의 이동으로 끝나는 전란에 그칠 것이며, 엄청난 인명피해만 있을 것이다. 또 북한 공산주의 사상의 힘이나, 남한과 자유세계의 경제력 덕택으로 통일되지도 않고, 또 될 수도 없다는 사실이다. 국민의식 수준과 가치관의 일치가 선행되어야 한다.
남의 손이건 자신의 손이건 간에, 손에 잡혀 있는 칼이나 주머니에 있는 돈으로, 즉 무력이나 금력으로는 통일되지 않고, 일시 점령되거나 합방될 수 있을 지는 모르겠지만, 그러한 외형적 체제상의 합방이나 점령이라는 것은, 내면적이며 정신적인 사랑과 이해로 이루어지는 참 통일은 아니다. 진정한 참 통일이어야 한다.
그러므로 우리 신도들은 우선 전 민족의식의 변화, 가치관의 발전적 변화를 위하여 힘쓰며 진심으로 기도해야 한다. 이해와 사랑으로 민족통일을 위해 열심히 기도하면, 하늘이 무심할 수가 없다. 천상에 계신 우리 신앙의 선조들과 특히, 천상에 계신 그리스도의 어머니시며, 지상 교회의 어머니이시고, 신도들의 어머니이신, 성모 마리아의 도우심으로, 우리는 마침내 한겨레 하나되는 평화통일의 결실을 맺게 할 수 있을 것이고, 다시는 분열하거나 서로를 죽이는 전쟁의 비극이 없게 할 수 있을 것이다. Msgr. Byon
<1994년 5월 25일, “이달의 천진암” 제12호 3면 >
Les armes nucléaires de grandes puissnces
De nos jours, en fabriquqnt et en possédqnt les armes nucléaires, les pays puissants menacent les petits pays faibles voire même l'humanité tout entière. Etre un pays puissant signifie déjà en soi avoir une arme la plus forte, et, sans mê̂me posséder d'arme necléaire, n'avoir pas à craindre d'être menacé. Le lion et le tigre n'ont d'autres armes que leur force et leur férocité. Le fait d'ê̂tre fauve levient l'arme la plus redoutable. Par contre, les petits animauxfaibles ont besoin d'un système de protection. Par exemlle, la mouffette sécrète et projette, comme moyen de défense, un liquide d'une odeur infecte. C'est une question inéluctqble de survie. Ainsi, dans les petits pays faibles, l'idée de posséder des armes nucléaires pourrait provenir de leur état de nécessité. Surtout, dans u pays comme la Corée qui a enduré des grurres d'invasion au cours ded son histoire : du continent, elle a eu l'invasion chinoise (Byung-Ja-Ho-Ran), de l'océan, elle a eu l'invasion japonaise(Im-Jin-Oué-Ran). En toute franchise, en tant que descendants des survivants de telles guerres implacables et prévoyant la réunification de la Corée, il nous est difficile de repousser la tentation de posséder des armes nucléaires. Mais en réalité ce sont des pays puissants qui possèdent ces armes et, à leur profit en menaçant les petits pays.
Comme les enfants apprennent le mensonge et l'injure auprès des adultes, les pays faibles sont infectés d'une maladie contagieuse ; l'envie de posséder l'arme nucléaire. Ils tentent d'imiter leurs prédécesseurs. Les pays puissantsdevrqient se rendre compte de tout cela et assumer leur responsabilité. Il est donc équitable que les petits pays puissent effectuer de façon régulière l'inspection des armes nucléaires en commençant d'abord dans les pays puissants. Mê̂me si de petites nations possèdent ces armes dangerruses, elles ne pourrqient, en aucun cas, occper des pays puissants. Comme on dit : "Rien n'est si contagieux que l'exemple", pour ce qui est de la suppression des armes necléaires, les pays puissants devraient se montrer comme un exemple à suivre.
Or, en ce moment, les hommes politiques du monde, que ce soient ceux des grandes puissances ou ceux des pays faibles, nous semblent vénérant comme Dieu, en les considérant comme l'objet de notre dernier recours. Sans doute, les effets de l'arme atomique seraient effroyables. Mais elle n'est ni si puissante et ni si utile que nous le pensions. Autrement dit, elle ne peut prolonger le maintien d'un régime dictatorial ni porter secours aux pays pauvres ; elle n'est purement et simplement que neusible. Du plus, nous pourrions nous poser des questions sur l'efficqcité. des armes necléaires pour la défense nationale de chaque pays. Prenons l'exemple de l'ancien U.R.S.S. : s'est-elle écroulée parce qu'elle n'avait pas d'armes necléaires? N'est)elle pas dans la misère complète? Ou est-ce parce que ses armes nucléaires étaient moins nombreuses et moins puissantes que celles des Etats-Unis? Et en conséquence est-ce grâce àleurs armes atomiques que les américains ont accomli leur expansion économique, tout en sauvegardant un régime démocratique?
La Russie et la Chine vivraient largement mieux que maintenant, si elles ne s'étaient pas tant livrées à la recherche nucléaire. De mê̂me les Etats-Unis et d'autres puissances démocratiques auraient pu contribuer plus à la prospérité de l'humanité et vivraient encore mieux aujourd'hui, s'ils ne s'adonnaient pas tant à recherche necléaire. En fait, la possession des armes nucléairs par ded petits pays ne peut ê̂tre une menace pour les Etats-Unis. Et cela n'est pas une garantie de stabilité pour leur régime politique, quel qu'il soit. En revanche, cela va accélérer leur effondrement en aggravant le processus d'appauvrissement. En dépit de tout, les politiciens se sont voués entièrement aux armes nucléaires en y investissant de façon insensée, et en y mettant le meilleur d'eux-mêmes. Quel qu'il soit le pays qui se cramponne aux armes nucléaires ne peut que faire partie du groupe des fanatiques. Comment les consciences peuvent-elles rester silencieuses devant un tel abus?
Pour quelle raison la bonne conscience des puissances necléaires se retranchent-elles derrière le mutisme? Les peuples, soi-disant de pays développés vivent en quelque sorte de la vente des armes qui massacrent les peuples pauvres et innocents. Du plus, ils concluent des mqrchés è des prix de rabais avec cet argent malhonnête, gagné par le carnage des innocents. Cillebt be oeyvebt-lis savoir que le café qu'ils boivent ses le sang de peuples faibles, et que le pain qu'ils mangent est la chair de ceuxci?
Les peuples des grandes puissances dirigéés par les fonds venant le la vente des armes, ne sont-ils pas de la mê̂me famille que celle des cambrioleur à main armée? Dans ces pays-là n'existent-ils que les loups sous forme humaine? Que sont-ils done cevenus les intellectuels? Que font-ells les presses de ces pays? Nous pourrions nous demander si tour(politiciens forçant l'achat des armes dangereuses, marchants des armes, les intellectules gardant le silence et vivant sans souci) ont le mê̂me et sont, au fond, est pareils à des loups.
Actuellement, la Corée court terriblement le danger de la guerre à cause des armes nucléaires. Au début, les nord coréeens afirmaient que leur recherche nucléaire serait purement destinée àl'usage industriel. Mais récemment; ils ont laissé entendre un autre son de cloche, en disant : "Nous pouvons transformer Séoul en une mer de feu" pour contrecarrer cette affirmation menaçante, sous le préteste d'empê̂cher une attaque éventuelle du Nord, les Etats-Unis annoncent partout la mise en place de missles en Corée du Sud, comme si cette péninsule était l'un des camps d'entraî̂-nement de l'armée américaine. En l'occurrence, surprise, la Chine don't l'attitude redouble de vigilance à l'égard des américains, se demande si elle n'est pas la vraie cible de ceux-ci.
De ce fait, nous avons l'impression que les puissances occidentales, prenant certaines parties de l'Asie qui font problème, tels que Hongkong, Taiwan; Macao et ainsi aue la Corée du Nord comme tremplin de leurs…, amorcent leur "stratégie de trente ans", qui a pour but de diviser la Chine en plusieurs blocs, de sorte que le grand bouleversement de l'Asie approche rapidement d'un moment à l'autre. Parmi les américaiss, il existe des gesns opposés aux armes nucléaires. De mê̂me parmi les japonais, il zxiste des anti-américais qui ne sont pas communistes. Ainsi, l'opposition au nucléaire est différente de l'anti-américanisme, et l'anti-amzricanisme ne correspond pas au pro-communisme. Or, pour quelle raison, la voix des presses garde-t-elle un silence pesant? Au moment où une mèche, don't la moindre flamme provoquerait un grand trouble en Asie, guette l'occasion de s'enflammer, pourquoi n'entendons nous que les échos lointains et faibles de la presse, qui touche nos oreilles comme des bourdonnements d'insectes mourqnts? Mê̂me si le pouvoir et l'idéologie changent d'un cô̂té à l'autre, que le peuple d'une nation n'est-il pas perpétuel et sa survie n'est-elle pas grandiose?
A présent, nous sommes persuadés que la force capable de transformer la Russie en voie de la démocratisation et de l'humanisation, n'est pas dù aux armes nucléaires des américanis ni à celles d'autres pays démocratiques. Le changement radical en Russie n'est pas fondé non plus sur la compétence diplomatique des grandes puissances occidentales, ni sur leur expansion économique. Plus prfécisément, les armes nucléaires n'ont joué aucun rô̂le dans la transformation de la Russie. En mê̂me temps, la puissance éconmique des pays développés de l'Occident n'a pas pu influencer l'ouverture de la Russie. En réalité, le déséquilibre des forces militaires et économiques ne peut que renforcer la situation d'inégalité et provoquer la guerre entre les pays opposés. Bref, ni l'attitude fermée de la Russie. En se repentant, elle revient dans la bonne direction grâce aux prières des fodèmes et à l'aide de la Sainte Mê̂me. Dieu attendrit le coeur endurci des russes. La transformation de la Russie est pour notre humanité un livre de référence en provenance de Dieu. Par les compétitions sportives et l'utilisation d'armes dangereuses progressent la violence et la force militaire. Beaucoup d'intellectuels restent aveugles quant aux conséquences et à l'influence de ce genre de choses sur développement de la civilisation humaine. Il ne faudrait pas penser comme si la croissance économique était l'unique moyen de survie d'un Etat et mettre tout l'énergie au service du projet de développement éconmique. Il ne faudrait pas non plus dénaturer l'Evangile, en considérant l'Eglise comme une organisation fondée en vue de résoudre loutes sortes de problèmes sociaux. Tout le monde doit reprendre ses esprits. Les pays développés de l'Occident don't le système de sécurité sociale est arrivé au plus haut niveau s'éloignent de plus en plus de Dieu. Qu'est-ce que tout cela signifie?
C'est un fait, derrière le repentir de la Russie, il y a les prières de nombreux fidèles du monde entier. Surtout suivant le conseil du Saint Père, chaque année, plus de six millions de fidèles catholique se rassemblent aux lieux saints comme Fatima, Lourdes et Banneux et prient la Vierge Marie pour le repentir des communistes. C'est précisément grâ̂ce à cesprières ferventes et persévérantes que Dieu a exaucé leurs voeux. La réunification de la Corée également ne serait réalisable d'abord que par la prière et la persévérance dans la prière.
Les armes nucléaires du Nord (si elles existent), ne pourraient en aucun cas contribuer à la réunification de la Corée. Celles des Etats-Unis n'amèneraient pas notre peuple è s'unir de nouveau. Ni l'idéologie communiste de la Corée du Nord, ni la puissance économique de la Corée du Sud ne sont pas capable de réaliser notre rê̂ve : la réunification de notre pays. Que ce soit de notre propre gré ou de la volonté d'autrui, la réunification est encore loin, tant qu'on essaie de l'accomplir par la force militaire ou par le pouvoir de l'argent. Utilisant de tels moyens on pourrait peut-ê̂tre occuper ou annexer un pays, mais rien de plus. Qui ne pourrait distinguer l'apparence de réunification par annexion ou occupation d'avec la réunification, réalisée par la compréhension et l'affection intérieure? Nous y arriverons finalement à l'aide de la Sainte Mère, en priant avec amour dans la sérénité et dans la compréhension pour la réunification de notre peuple.
(Père Pierre Byon Ki-Young, à Chon-Jin-Am, Berceau de l'Eglise catholique en Corée... 1994. 5. May) |
Writer : Msgr. Byon Date : 2013-01-24 21:39 Hit. 1671
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Denuclearization movement of war-weapon !
人類 破滅의 戰爭武器 非核化運動은 오늘날 우리 全 人類의 共同 最大 急先務!!
經濟發展만이 國家存立의 唯一한 目的은 아닙니다.
領土擴張 위해 他國占領과 破壞와 他國民 大量殺傷은 過去史에서나 있었던
强大國들의 存在方式이며 目的이었습니다.
核武器 自體도 危險하고 可恐한 것이지만,
核武器를 保有하고 使用하는 人間集團의 倫理觀과 價値觀이 더욱 問題視됩니다.
北韓核이 解決되어 韓半島의 非核化가 되지 않으면,
日本의 核武裝 豫防이 不可能하고,
나아가서, 中國의 核武裝 解除가 더 極難해지며,
美.蘇와 全 世界 各國의 核武器 完全 除去역시 不可能해지므로,
人類는 共同自滅의 길로 갈 수 밖에 없습니다.
不幸하게도 韓半島에서 核戰爭이 勃發하면,
極東 亞細亞 大戰이 不可避하며,
第三次 世界 核大戰으로 擴大될 수 밖에 없습니다.
人類의 核戰爭 出發 舞臺가 되는 韓.中.日이 最大의 被害國으로서,
政權도, 國民도, 文化도, 文明도, 歷史도 모두 사라지게 될 것입니다.
雙方 어느 편이든지, 核武器, 특히 核爆彈을 使用하기 前에,
먼저 經濟 爆彈 使用으로, 核戰爭 豫防이 可能할 수 있읍니다.
人類의 武器 非核化를 위하여,
眞理와 正義와 自由를 지키고 아끼고 가꾸는 모든이가
娛樂과 遊興과 奢侈와 享樂을 멀리하고,
특히, 信仰人들은 聖母님과 함께, 一心同體가 되어 每日 天主님께 祈禱해야 합니다 !
Homo homini lupus est ! 사람을 잡아먹는 것은 시랑이 떼가 아니라, 바로, 사람들이다! (로마 대제국 옛 政街의 격언).
Veritas semper universalis et concreta, justitiaque in libertate !<眞理와 正義와 自由는 恆常 어디서나 普遍的이며 具體的입니다!
自由가 없는 곳에, 自由가 없는 사람에게, 眞實과 正義가 있을 수 없으니,
自由不在 社會나, 自由不在 言論 團體나,
그러한 組織體에 얽매어서 自由가 없는 사람들의 말과 글과 生活과 行動에는,
眞實도 없고, 正義도 없으며, 조직의 宣傳과 宣動의 역활만이 있게 마련입니다.
- Msgr. Byon
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